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  • Immagine del redattoreMarianna

la domanda che mi salva

Aggiornamento: 17 set 2019


Sulla croce Gesù disse alcune, poche, frasi. Una delle frasi che il Vangelo di Matteo ci riporta è questa: "Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?" (Matteo 27:46).

A riguardo di questa frase J.Moltmann scrisse:

"Tutta la teologia cristiana e tutta la vita cristiana è fondamentalmente una risposta all'interrogativo posto da Gesù nel momento in cui morì..[..] E' per questo che la teologia deve essere sviluppata a portata d'orecchio del grido di Gesù morente".

Quello che Moltmann stava affermando, era che comprendere il motivo per cui Dio Padre abbandonò il Figlio sulla croce è la chiave per comprendere quello che su quella croce stava avvenendo davvero, quello che Dio stava rivelando di se stesso e della sua opera, dell'uomo e della salvezza. In qualche modo rispondere a questa domanda ci consente di avvicinarci alla "teoria della salvezza". Ma c'è un altro interrogativo che sorge di riflesso.

Quello che mi chiedo quando incontro quel grido è non "solo" perchè il Padre abbandonò il Figlio, ma perchè il Figlio interrogò il Padre circa quell'abbandono.

Era forse Gesù all'oscuro di quanto sarebbe successo? Fu sorpreso o deluso dall'atteggiamento del Padre? Non era consapevole di quello che avrebbe dovuto attraversare? Se la risposta è "No", allora si spiega il motivo di quel grido. Se la risposta invece è "Si", e cioè che Gesù fosse a piena conoscenza del costo, del sacrificio e delle conseguenze della Sua Croce, allora deve esserci qualche altra spiegazione a quel grido, a quella domanda.


UNA PROFONDA CONSAPEVOLEZZA

Da quello che possiamo comprendere dalla Bibbia, Gesù non era ne ignaro ne inconsapevole riguardo a quello che avrebbe dovuto attraversare. Per tre volte nel vangelo di Marco lo vediamo preannunciare il suo sacrificio ai discepoli: "..Poi cominciò ad insegnare loro che fosse necessario che il Figlio dell'uomo soffrisse molte cose, fosse respinto dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, fosse ucciso e dopo tre giorni risuscitasse" (Marco 8:31; Marco 9:30-32; Marco10:32-34). Da questi brani comprendiamo come Egli fosse a conoscenza di quanto avrebbe sofferto. Si potrebbe obiettare che la spiegazione di Gesù della sua morte comprendeva sofferenza fisica, derisione, tortura, abbandono da parte degli uomini si, ma non è menzionato l'abbandono da parte del Padre. Era questo allora un elemento che gli sfuggiva? Quando Dio lo mandò nel mondo gli tenne segreta questa terribile verità?

C'è almeno un altro momento della vita di Gesù che può aiutarci a comprendere la verità, ma per vedere chiaramente dobbiamo entrare nel giardino del Getsemani. Qui Gesù spese le ultime ore da uomo "libero", prima di essere arrestato.

Egli disse: "L'anima mia è oppressa da tristezza mortale" (Matteo 26:38). In Luca leggiamo: "..Ed essendo in agonia, egli pregava ancor più intensamente; e il suo sudore diventò come grosse gocce di sangue che cadevano in terra" (Luca 22:44)

John Stott nel suo libro "La Croce", ci dà una panoramica linguistica circa i termini usati a riguardo di questo momento vissuto da Gesù. I termini agonia, tristezza mortale, angoscia, fanno riferimento "ad uno stato di allarme; ad una sopraffazione mentale causata dall'orrore che stava per essere vissuto; sgomento; spavento; avversione". Dice Stott: "Gesù provava un acuto dolore emotivo che gli provocava abbondante sudore, mentre pensava con apprensione, paura e quasi terrore alla sua prova futura".

Cosa provocava tutto questo?? Era l'idea delle frustate, della tortura, dei chiodi e del soffocamento sulla croce? Sempre Stott ci dà una spiegazione convincente: "Niente potrà farmi credere che il calice temuto da Gesù fosse una di queste cose, o tutte insieme. Il suo coraggio fisico e mentale era stato indomabile durante tutto il suo ministero pubblico". Ancora dice "Quando i suoi amici scoppiarono in lacrime li incoraggiò a rimanere calmi e ad essere coraggiosi. Egli stesso disse ai suoi discepoli che quando sarebbero stati perseguitati a motivo di Lui dovevano rallegrarsi. Gesù non metteva in pratica ciò che predicava? I suoi discepoli lo fecero. Lasciando il Sinedrio con la schiena sanguinante essi se ne andarono rallegrandosi per essere stati ritenuti degni di essere oltraggiati per il nome di Gesù". Con queste spiegazioni Stott rende evidente come il terrore di Gesù non fosse connesso alla sofferenza fisica, per quanto terribile. C'era una consapevolezza diversa che lo devastava, che lo schiacciava, ed era proprio quella espressa nel grido sulla croce: l'abbandono del Padre.


Lo spazio per la mia risposta

La domanda allora rimane: Se Gesù era a conoscenza di tutto ciò, perchè interroga il Padre al riguardo?

Questo è ciò che penso. Cristo Gesù, con quel grido e quella domanda, creò nella storia, inalterabile, immodificabile ed eterno, uno spazio nel quale io potessi entrare e rispondere, con forza, con piena convinzione, e con totale coinvolgimento: "Lo ha fatto per me". Egli produce la domanda per concedermi di dare la risposta, genera l'interrogativo cosicché io possa appropriarmi dei benefici della soluzione. Uno spazio unico, davanti alla croce, davanti a quel sacrificio, di modo da farlo mio. Egli vive quel grido, quell'ulteriore strazio, quell'umiliazione, per me, come ogni altra cosa su quella croce.

Il mio dire "Lo ha fatto per me" significa almeno due cose:

1. Significa dire che lo ha fatto per colpa mia, a causa dei miei peccati, dei miei errori, della mia ribellione. (Isaia 53:5)

2. Significa dire che lo ha fatto per darmi un beneficio, per il mio bene, per la mia salvezza. (Tito 3:4-7)


Così. echeggia nella storia il grido straziante del Salvatore, il grido per mezzo del quale salva il mondo. Esso rimane un mistero, ma so che è quello lo spazio nel quale il Salvatore mi permette di essere salvato. Davanti a quel grido eterno il nostro cuore dovrebbe inginocchiarsi e le nostre labbra non dovrebbero perdersi l'opportunità di vivere l'incredibile onore, gioia e liberazione nel dire: "Lo ha fatto per me".

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