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A chi ti rivolgi nella tua sofferenza?

Aggiornamento: 20 gen 2022

Pandemia mondiale, crisi in Afghanistan, femminicidi quotidiani, sono solo alcune delle dinamiche che stanno accadendo al giorno d'oggi. Esse ci mostrano come il dolore, la perdita e la morte sono così presenti nel nostro mondo da pervadere e rendere comune l’esperienza della sofferenza a tutti gli uomini, seppur non in egual misura.


Se è vero che la sofferenza suscita, nel cuore delle persone che la vedono imbattersi sugli altri, un sentimento di compassione, è anche vero che essa isola chi la subisce e lascia in tutti i cuori dei sentimenti latenti o visibili di paura e insensatezza.

La sofferenza che vediamo nelle vite degli altri uomini può portarci a sperimentare sentimenti di tristezza e rabbia, ma essa non sarà mai profonda, pericolosa e reale come quella che ognuno di noi sperimenta sulla propria pelle e all’interno del proprio cuore.


C. Lewis spiega questo concetto affermando che quando una persona ha raggiunto il massimo del suo dolore,

“l’addizione di un milione di compagni nella sofferenza non può aggiungere altro dolore”.

Questa verità l’aveva imparata bene un personaggio della Bibbia: Giobbe. La sua storia, se letta con spirito di osservazione, non lascia il lettore indifferente: racconta di un uomo integro che temeva il Signore, ma che venne messo alla prova da Satana stesso il quale, con impertinenza, domandò a Dio: “È forse per nulla che Giobbe teme Dio? Non l’hai forse circondato di un riparo, lui, la sua casa, e tutto quel che possiede? "(Giobbe1:10) .

Giobbe, quindi, si trova a perdere lavoro, proprietà, beni, figli e la sua stessa salute.

In tutto il libro si vede un uomo stanco, distrutto dalla sofferenza e intento a chiedere il perché di tutto quello che gli è successo. È proprio Giobbe che, con un atteggiamento di riprensione, dice agli amici che sono venuti a “consolarlo”: “Voi siete tutti medici da nulla” o ancora, “anche io potrei parlare come voi, se voi foste al posto mio” (16:4).


Forse in questo momento stai attraversando un periodo di profonda sofferenza e anche tu potresti affermare come Giobbe:“ Ma tu cosa puoi saperne del mio dolore?” e avresti pienamente ragione, non ne conosco l’intensità, la durata e ciò che ha comportato nella tua vita.


cosa possiamo imparare da questa storia?


  • Giobbe ci insegna, lungo i tanti capitoli, a non sottovalutare o negare la sua disperazione, ma a partire proprio da quella. “Io, perciò, non terrò chiusa la bocca; nell’angoscia del mio spirito io parlerò, mi lamenterò nell’amarezza dell’anima mia” (7:11). Giobbe non smette di rivolgersi a Dio, lo fa con domande scomode, come: “Perché mi hai fatto uscire dal grembo di mia madre?”(10:18); mentre gli amici di Giobbe parlano di Dio, solo Giobbe ricerca costantemente un confronto con Lui: “Ma io vorrei parlare con l’Onnipotente, ci terrei a ragionare con Dio” (13:3).

  • Giobbe ci insegna ad avere coraggio, il coraggio di provare ad andare a Dio con tutto quello che abbiamo, con le nostre domande, i nostri dubbi, la nostra rabbia e con i pezzi del nostro cuore rotto, arrendendoci e chiedendo a Lui di dare un senso a quello che senso non ha. Nel racconto di una donna scappata dalla Corea del Nord, in fuga verso la Cina dopo aver perso il marito e il figlio, è scritto che urlava contro Dio cose orribili, gridava che non avrebbe più creduto in Lui, ma mentre lo faceva si rese conto che non era vero, le sue parole furono proprio queste: “Restare in silenzio, equivaleva a dire che non esisteva un Dio contro il quale urlare e io non riuscivo a farlo. Per me questo, nella sofferenza, significava avere fede.” Riecheggia forte questo insegnamento anche nelle parole di Gesù, che sulla croce, nel suo dolore, ha urlato al Padre i suoi perché: “Padre perché mi hai abbandonato?”

  • Impariamo che Dio apprezza, accoglie e vuole farsi conoscere da chi, nella sofferenza, si rivolge a Lui. Gli amici di Giobbe vengono definiti da Dio come coloro che non “parlano secondo verità” (42:7), mentre Giobbe viene gradito per il suo dire; leggendo il libro mi sono chiesta il perché dell’apprezzamento dei suoi discorsi, la risposta che ho trovato è che Dio ama rispondere a chi vuole discutere con Lui e non a chi pensa di possedere tutte le risposte. Gesù con umiltà e dolcezza conferma questa verità con un invito che non possiamo dimenticare: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò riposo”. Riposo, non spiegazioni dettagliate ad ogni nostro perché.


Delle volte alla sofferenza reagiamo come gli amici di Giobbe, così impauriti da quello che porterà nella nostra vita, o nella vita delle persone che amiamo, che preferiamo ripetere a memoria concetti “standardizzati” di Dio, che suonano vuoti e inutili come il motto - “andrà tutto bene” - in voga durante il primo lockdown.


Dio non vuole che impariamo delle frasi di circostanza per descrivere chi è Lui, da ripetere anche quando non ci crediamo neanche con una piccola parte di noi stessi.

Noi possiamo e dobbiamo piangere, urlare e chiedere il perché di quello che sta succedendo, come fece il nostro caro Giobbe. Solo in questo modo lui ha potuto conoscere un Dio che gli ha narrato le azioni che svolge su tutta la terra, un Dio sovrano, più grande e potente della sua (temporanea) sofferenza, che ha accolto la sua rabbia e con gentilezza si è rivolto a lui.


Abbiamo, più di tutto, bisogno di giungere alla conoscenza di un Dio più grande dei nostri dolori, un Dio pronto a vivere con noi nelle nostre sofferenze, che vuole mostrarsi non solo per quello che può donarci e garantirci, ma per quello che essenzialmente è.


Caro lettore, non voglio cadere nello stesso errore degli amici di Giobbe e dilungarmi in lunghi discorsi, per me potresti dimenticare anche tutto quello che hai appena letto, ma vorrei con tutto il cuore che ricordassi solo due verità:


"Tu puoi rivolgerti a Dio con tutta la tua sofferenza, i tuoi dubbi e domande e Lui, sicuramente, non ti respingerà"

Ti auguro di essere stupito, meravigliato e incantato dalla conoscenza di Dio, e di poterlo “vedere” affianco a te nella tua sofferenza.


"Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora l'occhio mio ti ha visto. “ (Giobbe)

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