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C'è di più (# 1)



"Non temere piccolo gregge, perché al Padre è piaciuto di darvi il regno." Luca 12:32

C’era una volta un Re, buono e saggio.

Egli disse: “Desidero creare l’uomo, un essere intelligente, sensibile, forte e dolce, che possa godere di un mondo bello, vasto e vario, nel quale crescere, moltiplicarsi, godere di ogni gioia; un essere che sia in grado di vivere l’amore, di conoscere la felicità, di sperimentare la pace, ma soprattutto, un essere che possa conoscermi e sul quale io possa riversare la mia cura e la mia guida.”

Così, il Re, rivestito di un magnifico manto, iniziò a chiamare all’esistenza un mondo nel quale questi potesse vivere, creando la luce, il cielo, il mare, gli alberi, le montagne, i pesci, gli uccelli ed ogni genere di mammifero o rettile. Creò il leone, audace e superbo, con la sua criniera rossa, creò la balena, l’elefante, la giraffa, l’aquila, il cavallo. Creò il caldo sole e la luna, riempì il firmamento di stelle enormi e l’universo di pianeti, satelliti e infiniti altri corpi celesti. Disse: “Che pure nel più remoto spazio e nella più fitta tenebra, ci sia una luce ad accompagnare l’uomo.” Creò i fiori con mille profumi e riempì il mondo di mille colori.

Così, quando il mondo fu pronto ad accoglierlo, l’uomo fu creato. Questa volta il Re non semplicemente parlò, ma si tolse il manto magnifico, si tirò su le maniche della casacca splendida che indossava, si inginocchiò e, affondando le mani nella terra, iniziò a formare l’uomo. Soffiò nelle sue narici un alito di vita e lo pose come Sovrintendente del meraviglioso mondo creato per lui. Ogni giorno il Re usciva dal palazzo reale, si recava nel mondo dell’uomo ed, insieme, Sovrano e Sovrintendente, camminavano lungo le rive di un fiume aspettando che la notte calasse sulla terra. L’uomo iniziò a godere della creazione che lo circondava, ammirando le stelle nel buio, cavalcando i purosangue, tuffandosi nel fresco mare cristallino. Lui e la creazione irradiavano una bellezza straordinaria, invincibile, forte, concreta. Il Re era gentile, premuroso, autorevole, giusto, dolce; amava l’uomo ed era dall’uomo amato.

Arrivò però un tempo in cui il Sovrintendente si inasprì nei confronti del buon Sovrano. Abituato alla bellezza e divenuto insensibile alla presenza del suo Signore, iniziò a desiderare di più, a desiderare di essere re. La sua mente, annebbiata dal suo stesso orgoglio, cominciò a disprezzare la compagnia del Re e a volersene liberare. Più il tempo passava più il suo cuore si faceva freddo e distaccato, fino al giorno in cui, risoluto a far di se stesso la propria unica autorità, costruì un palazzo, vi mise al centro un trono, e sedutosi su di questo dichiarò di essere l’unico re al quale ogni creatura avrebbe dovuto rendere conto. Tradendo il suo Sovrano, eresse grandi mura ai confini del mondo che era stato creato per lui, pensando di poter così tenere lontano il legittimo e solo Re. Proclamò il mondo quale suo regno e dichiarò di essere la suprema ed assoluta autorità, sufficiente a se stesso e pienamente in grado di provvedere al proprio soddisfacimento. Il Re, profondamente dispiaciuto della decisione del Sovrintendente, lasciò che egli vivesse nel modo che aveva scelto, chiuso nelle proprie mura, lontano dalla comunione con il Sovrano. Si ritirò nel Suo glorioso Regno, non smettendo però di guardare l’uomo agire nel suo mondo, consapevole del fatto che, molto presto, questi avrebbe dovuto fare i conti con la propria follia. Così, il Sovrintendente iniziò a regnare.

Non passo' molto tempo prima che l’uomo, unico sovrano della sua terra, si accorgesse che la creazione intorno a lui iniziava progressivamente a morire. Gli alberi invecchiavano e le foglie cadevano; gli animali iniziavano a perdere la loro docilità per acquisire atteggiamenti cruenti ed aggressivi; le stelle del cielo esplodevano e le luci intorno a lui si spegnevano. Lui stesso era ogni giorno più debole; il suo cuore batteva più lento, il suo corpo deperiva e la sua mente perdeva lucidità. Presto comprese che tutta la creazione e persino lui, traevano la propria bellezza e forza dalla presenza del Re. Senza il Re quel mondo si deteriorava e senza il Re lui stesso moriva. Ma non solo la morte stava ingrigendo il suo regno, insieme ad essa, altri mali iniziarono ad attaccare quel mondo. Cominciò a sentire solitudine, rabbia, cattiveria, egoismo. Con il passare del tempo e ingrigito dalla bruttezza del mondo intorno a lui, chiuso sempre di più tra le sue mura, spaventato da ciò che lo circondava, il Sovrintendente sentì che niente di ciò che faceva riusciva più a soddisfarlo. Aveva creato grandi edifici, eretto incredibili monumenti, sperimentato ogni tipo di piacere, applicato la sua autorità sopra ogni creatura, vissuto lontano da ogni forma di legge regale, ma niente riusciva a soddisfare il suo cuore. Latente nelle profondità del suo essere, sentiva un desiderio, un richiamo, un bisogno, una necessità che niente e nessuno riusciva a placare.

Molti anni erano passati da quando il suo tempo era pieno di gioia, di pace e di festa, in un mondo straordinariamente bello. Si ricordava i giorni gloriosi nei quali, passeggiando insieme al Re, ammirava e godeva della dolce autorità e della saggia gioia con cui questi si conduceva e lo conduceva nell’esistenza. Si ricordava che fin dal primo momento era rimasto affascinato dal modo in cui il Sovrano camminava, con una certa sicura andatura, il modo d’incedere proprio di coloro che si aggirano nel mondo privi di ogni paura, quieti e fermi. Non aveva mai più visto alcuno camminare a quel modo, ma ogni anima che aveva incontrato si caratterizzava per un impercettibile fremito, come se una paura ignota e spaventosa gravasse nell’intimo di chiunque. Amava poi lo sguardo del suo Re, uno sguardo paterno, affettuoso e autorevole. Riconosceva con gioia il suo bisogno di guida e d’istruzione ed era orgoglioso di poter stare al fianco di un simile Signore, grato di non aver altra responsabilità se non quella di fidarsi del Sovrano, una privazione di compiti che produce quella serena contentezza propria solo dei bambini amati dai genitori. Ricordava i canti, le feste, la gioia pura e la piena soddisfazione che un tempo provava alla corte del Re, ricordava di non aver mai provato tristezza o dolore tra le invisibili pareti del mondo meraviglioso che gli era stato donato. Ma ora tutto questo non esisteva più. La sua esistenza andava contraendosi in infiniti spasmi di dolore, rabbia e solitudine.

La nostalgia restituì al misero Sovrintendente una certa maturità. Riconosceva che gli unici momenti di pieno godimento e di totale pace, ora li provava quando ammirava quegli squarci di bellezza che la bruttezza non aveva divorato, lì nel suo mondo. Così accadeva che quando si recava alle immense cascate o in riva al mare per contemplare un tramonto, egli sentiva nel cuore come il richiamo ad un’antica memoria. Quella fragile bellezza era tutto ciò che rimaneva del suo tempo vissuto insieme al Re.

Sempre più sopraffatto dai ricordi festanti della sua vita passata, decise che si sarebbe condotto lungo le rive di quel fiume dove camminava insieme al Sovrano, sarebbe salito in vetta al monte più alto del regno e avrebbe gridato con tutta la propria voce, nella speranza di farsi sentire dal Re. Ma qualcosa di oscuro aveva invaso il suo mondo. Negli ultimi tempi le avventure là fuori si erano fatte infrequenti, poiché sempre più egli si era rinchiuso all’interno delle mura del suo oscuro palazzo. Il mondo non era più un posto ideale, né speciale. Tra la terra, orribili e tremendi mostri si aggiravano, divorandone e distruggendone la bellezza. Queste terribili creature, spettri oscuri, malvagi e spaventosi, portavano incisa sulla loro fronte la fonte che li aveva portati all’esistenza. Così su alcuni si leggeva “Ira”, su altri “Invidia”, o “Stregoneria”, su altri ancora “Discordia”, “Fornicazione”, “Avarizia”, “Menzogna”, “Egoismo”, “Malvagità” e altre terribili parole. Senza che se ne accorgesse, la sua follia e quella di ogni anima della terra, avevano consegnato il mondo creato dal Re in mano ad orrendi mostri. Aggirarsi sulla terra era diventato pericoloso, uscire dal palazzo impossibile. Così, chiuso nella sua stanza, si lasciò andare ad un profondo pianto, disperato e senza speranza, solo ed inginocchiato, non gridò in vetta ad un monte, ma sussurrò flebili parole, gli inudibili sussurri di un’anima moribonda. Ed il Re li udì.

Il Re, che mai aveva perso di vista il Sovrintendente, aveva tenuto i suoi occhi aperti sul mondo, ne aveva seguito le vicende e aveva continuato a sostenere e generare quella bellezza rara che in alcune parti di quel regno ancora poteva scorgersi. Aveva lasciato quella bellezza antica quale richiamo per l’uomo, ricordo e segno di una speranza alla quale egli si sarebbe potuto aggrappare. Il Re buono e saggio udì la supplica dell’uomo ed in groppa al suo splendido destriero, seguito da carri infuocati, marciò sul mondo tormentato dagli spettri oscuri. Egli cavalcò con grande potenza ed incredibile audacia, e quando infine giunse sul mondo, una luce accecante invase la terra. La sua battaglia non fu combattuta con la spada, ma con una sola parola uscita dalla sua bocca egli distrusse ogni singola forma di oscurità, ogni singolo mostro. Il Sovrintendente era ancora piegato sulle proprie ginocchia quando il rombo di un tuono ruppe il silenzio. Non più mura o porte tra lui ed il Re, perché il glorioso Sovrano, sceso dalla propria cavalcatura, ora camminava verso l’uomo. Egli ne riconobbe l’andatura, che tanto ammirava, e lo sguardo dolce che tanto amava.

Il Re non era cambiato, era lo stesso, ed era tornato.


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