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"Anche se..". Misurare la nostra fede



Sono una folle, incurabile, infantile fan di cartoni animati. Mi ricordo che quando ero più piccola (ma in realtà mi succede ancora ora) impazzivo per il Genio della lampada del cartone di Aladin. L’ho sempre trovato uno dei personaggi più divertenti, insieme a Timon del Re Leone e Mushu di Mulan. Il Genio della lampada, oltre ad essere divertentissimo nel suo modo di parlare e d’agire, aveva ovviamente una qualità ultra super mega mitica: realizzava i desideri. In quasi tutti i cartoni animati è presente quel personaggio che aiuta il protagonista a vincere la propria sfida, raggiungere l’obiettivo, sconfiggere il cattivo, ed il Genio, Timon e Mushu sono tutti personaggi di questo genere. Fondamentali anche se secondari rispetto al protagonista. Comunque, tornando al Genio, lui poteva realizzare tre desideri, qualsiasi essi fossero stati. Chi non vorrebbe un personaggio del genere nella propria storia?

Una delle idee più tipiche su Dio, è che egli debba essere una specie di Genio della lampada e cioè che debba

1. Realizzare i nostri desideri

2. Essere il personaggio secondario, che aiuta noi, i veri protagonisti, a vincere nella nostra vita

Un’altra caratteristica dei cartoni animati è presentare il protagonista come il vincente eroe che mai si abbatte. La vita reale però è spesso molto diversa. Abbiamo la facile tendenza a rinunciare quando le cose si fanno difficili, o anche più semplicemente, quando richiedono un impegno ed un sacrificio. Non siamo abituati e spesso non abbiamo né il coraggio né la voglia di combattere tra le difficoltà. Ci lasciamo andare allo sconforto, alla paura o alla pigrizia, e rinunciamo.

La fede, l’argomento centrale di questo articolo, ha a che vedere sia con l’idea che abbiamo di Dio, sia con la nostra propensione a rimanere fermi, costi quel che costi, impegno, sacrificio e lotta.

Una storia straordinaria della Bibbia è quella di tre giovani uomini, i cui nomi erano Anania, Misael e Azaria, i quali furono fatti prigionieri da un popolo conquistatore, deportati e messi al servizio del loro nuovo re. Questo re cambiò il loro nome, ed è per questo che sono più comunemente conosciuti come Sadrac, Mesac e Abed-Nego. Il re, il cui nome invece era Nabucodonosor, decise di erigere un’enorme statua d’oro, e stabilì che al suono dei più svariati strumenti, gente di ogni popolo, nazione e lingua dovesse inchinarsi e adorarla. “Se non adorerete”, disse, “sarete gettati in una fornace ardente.”. Così, dopo che la statua fu eretta, l’araldo gridò forte il proclama, gli strumenti suonarono, e centinai di migliaia di persone, appartenenti ad ogni cultura e popolo, si inchinarono. I tre giovani uomini però non lo fecero. Vennero, ovviamente direi, notati, essendo gli unici rimasti in piedi tra un’immensa folla. Vennero portati dal re, il quale gli disse: “Se non adorerete la statua, sarete immediatamente gettati in una fornace ardente, e quale Dio potrà liberarvi dalla mia mano?”. La loro risposta fu la seguente:

“O Nabucodonosor, noi non abbiamo bisogno di darti risposta su questo punto. Ma il nostro Dio, che noi serviamo, ha il potere di salvarci, e ci libererà dal fuoco della fornace ardente e dalla tua mano, o re. Anche se questo non accadesse, sappi, o re, che comunque noi non serviremo i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai fatto erigere.” (Daniele 3:14-18)

Sapete come va avanti la storia? Ve lo dico dopo. Intanto analizziamo un po’ questa folle ma grandiosa risposta. Innanzitutto il re, facendosi beffe di loro, li derise dicendogli che nessun dio avrebbe potuto liberarli. Di contro, la fermezza di questi tre ragazzi è impressionante: “non abbiamo bisogno di darti risposta su questo punto.” Qual era il punto messo in discussione? Che il Dio in cui confidavano i tre giovani potesse intervenire per aiutarli. In altre parole i tre sostennero che non dovevano di certo mettersi a valutare se effettivamente il loro Dio fosse più debole e dunque impotente di fronte a questo re. Conoscevano la risposta e non c’era niente di cui discutere, niente di cui parlare o su cui mettersi a ragionare. Dio c’era ed era ben più forte di questo esaltato re. Fine.

Il resto della risposta ci insegna qualcosa a proposito della fede. Essa è come un bicchiere pieno d’acqua, del quale si può bere solo una parte oppure berlo tutto, e così possiamo avere in noi poca o tanta acqua, così come possiamo avere poca o tanta fede. Possiamo quindi sorseggiare la fede, e averne in noi giusto un po’, o possiamo esserne ripieni. La differenza tra l’acqua e la fede è che bere tanta acqua può render gonfi e danneggiarci, mentre essere ripieni di fede può solo fare bene. Ma l’acqua e la fede funzionano allo stesso modo, in particolare quando consideriamo situazioni “critiche”. Così, come quando sfiniti dal caldo beviamo un intero e fresco bicchiere d’acqua, non limitandoci a sorseggiarne giusto un po’, quando nella nostra vita la temperatura si fa alta abbiamo bisogno del refrigerio portato dalla fede.

UN GOCCIO DI FEDE

“Dio ha il potere”

Alla luce di tutto quello che sappiamo di Dio, dalle infinite testimonianze della Bibbia e dall’esperienza personale di ciascuna persona che ha individualmente e personalmente conosciuto Dio, chi di noi potrebbe dubitare della potenza di Dio? Una goccia di fede è sufficiente per poter onestamente riconoscere che il Dio in cui crediamo è un Dio potente.

E’ molto triste però constatare che molto spesso ci mancano anche queste poche gocce di fede. Dubitiamo della potenza di Dio rimpicciolendolo ad un’idea mediocre, ad un essere limitato dalle circostanze ben più potenti di lui. Nonostante tutto quello che la Genesi ci dice con la Creazione, i vangeli con la Croce e ogni altra singola pagina di Bibbia con quanto vi si trova scritto, non crediamo che Dio sia davvero un Dio potente. Eppure per riconoscere questo ci basterebbe un goccio di fede.

UN SORSO DI FEDE

“Ci libererà dal fuoco della fornace ardente e dalla tua mano, o re.”

Un po’ più di fede ci è necessaria per ritenere che Dio sia un Dio personale, intimo, vicino, per credere che Egli abbia il desiderio di intervenire nelle nostre vite e che egli intervenga da sempre nella storia per dirigerla secondo il suo proposito. Possiamo con un goccio di fede arrivare a riconoscere l’esistenza di un Dio che se è Dio in qualche modo è potente, ma ci viene difficile accettare l’idea che Egli possa e voglia occuparsi del mondo e di noi. Non so se è perché ci spaventa o perché ci mette troppo in gioco, ma questa idea la rifiutiamo. Per quanti di noi credono che il Dio potente esista sul serio, molto spesso facciamo fatica a credere che il Dio di Abraamo, di Mosè, di Davide, il Dio che conduce il popolo attraverso il mare ed il deserto, possa essere quello stesso tipo di Dio anche con noi, che possa, anche nella nostra vita, agire per liberarci dalla fornace e dalla mano di qual si voglia oppressore. Ma la Bibbia insegna che Dio non cambia, che egli è lo stesso in eterno. Egli non è dunque cambiato, ma lo stesso Dio del passato è il nostro, un Dio che può intervenire nella nostra vita, e che vuole farlo.

UN BICCHIERE PIENO DI FEDE

“Anche se questo non accadesse, sappi o re, che noi non serviremo i tuoi dèi e non adoreremo la tua statua.”

Questa è la fede che mi lascia senza parole, quella rara, quella preziosa, quella invincibile. Due cose importanti da dire a proposito di questa fede:

Come dicevamo, abbiamo l’idea che Dio debba essere il personaggio potentissimo ma secondario, che ci porta a vincere nella nostra storia. Abbiamo inoltre la tendenza ad abbandonare tutto quando il gioco si fa duro. La Bibbia insegna che Dio non è al nostro servizio e che neppure sia il nostro Genio magico. Inoltre, insegna che non sempre le cose devono andare proprio come vorremmo noi. Mi sono ritrovata più volte a venire meno proprio quando le cose si facevano difficili. E’ facile e bello affermare di avere fede in Dio, più difficile diventa amarlo e sceglierlo, servirlo e adorarlo, quando la vita non gira esattamente come vorremmo. Così diverse volte sono salita sul ring e ho iniziato a combattere contro Dio, sferrando “Perché” o “Non lo merito” o “Sei ingiusto”. Facile è credere al suo amore, alla sua saggezza, alla sua giustizia quando tutto va nel modo giusto, più difficile accettare la sottomissione, dimostrare la fede e perseverare nell’amore e nell’adorazione quando soffriamo.

Quell’ “Anche se” è la chiave di tutto. La forza della vera fede sta proprio lì. I tre giovani uomini credevano che Dio poteva liberarli e che era il loro personale Dio, che dunque in un modo o nell’altro sarebbe intervenuto per salvarli. Ma la loro fede era tale da rimanere attaccati, fermi, fissi in Dio anche se Egli non fosse intervenuto mettendoli in salvo da quella particolare situazione. La fede dell’ “Anche se” aveva spinto i tre giovani a rimanere in piedi mentre tutti si erano inginocchiati. E’ la fede che non si tira indietro quando il gioco si fa difficile, perché altrimenti che valora avrebbe? Non rinuncia, non si arrende, non cede, ma persevera. La fede dell’ “Anche se” è quella che ti porta a considerare che Dio può avere i suoi piani, persino nel dolore e nella sofferenza, e che Egli rimane sommamente saggio anche se ti porta attraverso la fornace. Potrebbe suonarci tutto assurdo. Ma questa è la fede che fa la differenza.

Sai come finisce la storia? I tre amici vengono seriamente gettati nella fornace, la quale fu fatta arroventare sette volte più del solito. E sai cosa significa questo? Che non appena dimostri una grande fede, le situazioni potrebbero farsi ancora più bollenti, ancora più difficili. Non pensare di ricevere un premio e che tutto si sistemi a tuo favore non appena pronunci il tuo “Anche se”. E’ molto probabile che la fornace della tua vita diventi ancor più arroventata. Non a caso un versetto prezioso della Bibbia dice:

“..affinché la vostra fede, che viene messa alla prova, che è ben più preziosa dell’oro che perisce, e tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e d’onore.” (1 Pietro 1:7)

Così i tre vengono gettati nella fornace ma è lì, a quel punto, che Dio interviene. Il racconto biblico è incredibile:

“Nabucodonosor fu spaventato e andò dai suoi consiglieri a dire: ‘Non erano tre gli uomini che abbiamo legati e gettati in mezzo al fuoco ardente?’ Quelli risposero: ‘Certo, o re!’ ‘Eppure’, disse ancora il re, ‘io vedo quattro uomini sciolti, che camminano in mezzo al fuoco senza aver sofferto nessun danno, e l’aspetto del quarto è simile ad un figlio degli dèi.’” (Daniele 3:24-25)

I tre ragazzi furono tirati fuori dalla fornace e di loro ci viene detto che i loro vestiti non puzzavano neppure di fumo. Dio era intervenuto, ma era intervenuto nella fornace. Non prima. Essi dovettero vivere con fede il momento in cui rimasero in piedi, il momento in cui pronunciarono quell’ “Anche se”, il momento in cui furono legati, il momento in cui furono gettati nel fuoco. E fino a quel momento Dio non si era fatto vivo, ma la loro fede non aveva vacillato. Quale fu la conseguenza? Perché dico che è questa la fede che fa la differenza? Perché essi camminarono insieme a Dio nel fuoco, ed immagino che una volta usciti da lì la loro fede fosse ancora più forte di prima. Avevano bevuto litri e litri d’acqua in mezzo al fuoco.

In secondo luogo, il racconto va avanti e ci viene detto che davanti a quella scena, Nabucodonosor riconobbe che il Dio in cui quei tre giovani confidavano era veramente Dio. Un’incredibile testimonianza, generata da tre cuori che avevano avuto il coraggio di dire “Anche se”, che avevano avuto il coraggio di mettere Dio dinanzi a tutti, persino dinanzi alla loro vita.

Così dobbiamo imparare a fidarci di Dio “Anche se …..” (e aggiungi qui tu la tua fornace).

Infine, questa risposta ci insegna che la fede ha a che vedere con l’amore. I tre ragazzi si rifiutarono di servire e di adorare. Sia il servizio, sia l’adorazione, hanno a che fare con il cuore. Quello che stavano dicendo in altre parole era: “Noi non daremo il nostro cuore a nessun altro!”. Ci sono così tanti idoli che vogliono prendersi il nostro cuore, che pretendono che le nostre ginocchia si inchinino a loro. Lavoro, Università, Famiglia, tutto può diventare un idolo che ruba il nostro cuore. Ma avere fede per questi tre giovani significava rifiutare di dare il loro cuore a qualsiasi altro se non a Dio.

Così, non so quanta fede ci sia nel tuo cuore, se esso sia ripieno d’acqua o se stia soffrendo la siccità, se tu stia riuscendo a vivere sul serio l’ “Anche se” in mezzo alla fornace in cui ti trovi. Sappi che non appena inizierai a viverlo, la fornace si arroventerà ancora di più. Ma la conseguenza sarà quella di sperimentare Dio, molto più profondamente di quanto tu abbia mai provato, e l’eco della tua fede sarà grande. Tutti i popoli erano riuniti in quell’occasione e videro la fede di questi giovani.

Come si arriva ad una fede così? Questa è la domanda delle domande.

Leggendo il libro di Daniele io ho capito questo riguardo a lui e ai tre giovani amici: essi riempirono il loro cuore d'acqua attraverso la lettura della Bibbia e attraverso la preghiera. Avevano sviluppato un profondo attaccamento e una vera e propria dipendenza da ciò che usciva dalla parola di Dio e dal prendersi del tempo per svuotare i loro cuori davanti all’Eterno, chiedendo a Lui guida, saggezza e direzione, ma più semplicemente per godere di quella comunione intima con Lui che si sperimenta quando, chiuso il mondo fuori, si rimane soli con il Creatore di tutte le cose. E’ con la Scrittura e con la Preghiera che i loro cuori vennero riempiti. Ma ti incoraggio a cercare una Bibbia e a leggere il libro di Daniele , per trovare il segreto o i segreti della loro fede.

So che da me non può provenire una fede del genere, e allora pregherò di continuo queste parole:

“ (Signore) Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità.” (Marco 9:24)


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